Il Turco, l'automa che giocava a scacchi

La rivoluzione elettronica ha determinato un fiorire di programmi, i famosi motori, che giocano a scacchi con una forza ormai tale da risultare quasi imbattibili per gli umani. Tali programmi ormai sono alla portata di tutti, facilmente reperibili ad un costo veramente limitato, in qualche caso anche gratuitamente.
I difetti dei programmi di una volta sono stati superati, gli algoritmi di autoapprendimento fanno si che i vari software non ripetano gli stessi errori. Anche strategicamente ormai il gioco dei motori si è molto avvicinato a quello umano e, chiaramente, la grande potenza di calcolo dei processori fa si che i programmi siano pressoché imbattibili dal punto di vista tattico.
La realizzazione di una macchina che batta l'uomo a scacchi è ormai un fatto compiuto, non ci resta che prenderne atto tenendo sempre conto che in fondo si tratta sempre di strumenti, che non possono e non devono sostituirsi a noi nei tornei e nelle competizioni.
Il gioco tra umani è tutta un'altra cosa.
L'idea di realizzare una macchina capace di battere l'uomo a scacchi però non è nuova.
Già nell'epoca pre-computer in molti hanno affrontato la sfida, risolvendola in modo spesso molto originale.
Non si trattava, ovviamente di programmi che giocano a scacchi, ma di veri e propri automi in grado di eseguire materialmente le mosse su una scacchiera e di sfidare avversari umani.
Ora, se da un punto di vista meccanico l'automa poteva essere concepito e realizzato, come dotarlo di un pensiero autonomo?
Vediamo come risolse il problema Wolfgang von Kempelen[1] uno dei primi e più famosi ideatori di un automa scacchistico.
Inventore di origine ungherese, von Kempelen presentò nel 1769 alla corte di Maria Teresa d'Austria il suo Turco, un automa capace di giocare a scacchi con gli umani e spesso anche di batterli.
Si trattava di una macchina che aveva l'aspetto di un uomo mediorientale, con tanto di turbante, seduto ad un tavolo con una scacchiera. Il tavolo era una sorta di grande scatola piena di ingranaggi che venivano mostrati al pubblico tramite degli sportelli. In verità gli ingranaggi occupavano solo una parte della scatola e lasciavano spazio all'interno per un uomo di piccola statura che riproduceva le mosse su una piccola scacchiera ed azionava gli ingranaggi che permettevano all'automa di eseguire le mosse. Dal punto di vista meccanico l'automa era molto avanzato, naturalmente la sua capacità di giocare era solo un imbroglio, come intuì anche Edgar Allan Poe che nel suo Il giocatore di scacchi di Maelzel[2] del 1836 dimostra con logica stringente, come scrive Roberto Barbolini[3] “che l'automa ospita al proprio interno un essere umano in carne e ossa; l'incubo cibernetico di un campione artificiale della scacchiera (oggi nuovamente reale grazie ai prodigi computerizzati) viene provvisoriamente allontanato.”
Il Turco ebbe molto successo e le sue esibizioni richiamavano sempre un folto pubblico. Molti furono i grandi personaggi che vollero accettare la sfida, tra di essi anche Napoleone Bonaparte che con l'automa giocò e perse nel 1809.
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Anche dei forti scacchisti si cimentarono contro il Turco, riuscendo a batterlo. Uno dei più famosi fu John Cochrane[4] che affrontò e sconfisse il Turco a Londra nel 1820.
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Il 5 luglio 1854, ad ottantacinque anni dai suoi esordi viennesi, il Turco fu distrutto da un grande incendio mentre si trovava al Peale Museum di Filadelfia.

[1] 1734-1804

[2] Pubblicato in Italia nel 2009 dalla casa editrice SE. Johann Maelzel rilevò il Turco alla morte di von Kempelen ed organizzo una tournée negli Stati Uniti con l'automa facendolo esibire in varie città. Ad una di queste esibizioni assistette anche E.A. Poe.

[3] Scrittore e giornalista 1951

[4] Giocatore scozzese (1798-1878) si trasferì presto a Londra, dove fu capitano del circolo di Londra nella famosa sfida per corrispondenza contro il circolo di Edimburgo iniziata nel 1824.

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