Scacchi e demenza tecnologica

Pubblichiamo con grande piacere un contributo del Maestro ed Istruttore di Scacchi Giuseppe Tarascio, curatore del sito istruttorescacchi.it .
In questo scritto, già pubblicato dall'autore su Facebook, il maestro pugliese pone una serie di problemi e ci da alcune sue considerazioni su una questione che sempre più condiziona gli scacchi e che in questi tempi di pandemia sta diventando sempre più centrale: stiamo parlando dello sviluppo dei motori scacchistici e della loro influenza sulle abitudini dei giocatori ed, in definitiva, sull'intero movimento scacchistico.

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Scacchi e demenza tecnologica
I progettisti di chess engines, dall'ingegnere informatico all'ultimo dei clonatori, lo hanno promesso: vogliono costruire motori capaci di giocare a Scacchi in maniera sicura e autonoma, quasi senza bisogno di intervento umano!
Il problema è che tale progetto non è neutrale rispetto al nostro gioco ed alla nostra stessa umanità: rischia di consegnarci a una sudditanza acritica verso la tecnologia. Perciò sento il bisogno di lanciare un “messaggio nella bottiglia” alle generazioni future di scacchisti.
La produzione di chess engines è cresciuta, esattamente come la promessa ottocentesca di liberarci dal lavoro ripetitivo e dalle mansioni manuali (meno intellettualmente stimolanti) sostenuta dal «mito della sostituzione» (ovvero, che sia possibile automatizzare un compito senza alterarne la natura). Purtroppo, la nostra accettazione di queste idee è stata sinora passiva, oserei dire perfino gioiosa. Siamo stati troppo ingenui, dato che non abbiamo imparato a vederne le conseguenze indesiderate. Eppure sono già sotto ai nostri occhi!
I giocatori di “Scacchi normali” stanno disimparando a giocare: dal mio osservatorio privilegiato di istruttore, osservando le partite che mi inviano le categorie nazionali italiane, è sempre più evidente l'incremento degli errori umani al crescere della pigrizia mentale cui è costretto un giocatore “auto-allenatosi” con un motore scacchistico.
Ma questo è solo un aspetto della questione. Nel confondersi di umano e automatico non mutano solo le capacità di apprendimento umane: i programmatori di chess engines vogliono mutare il concetto stesso di automazione, al punto che la stessa idea di ‘controllo umano' delle analisi del motore comincia a sembrare anacronistica e che in molti dei motori commerciali odierni il software può perfino scavalcare gli input del giocatore. Insomma, “il computer ha l'ultima parola». Questa è la parola d'ordine da combattere, a mio parere!
I motori, nei Forum/Fogna, stanno rimpiazzando i commenti dei Grandi Maestri. E a trarne beneficio, secondo i fautori di questo trend, in un contesto di disuguaglianze crescenti, sono principalmente i pochi che possiedono i computer più moderni e costosi, i padroni degli algoritmi. L'illusione di un Eden automatico persiste tra gli scacchisti di basso livello (la maggioranza, ahimè) a causa della credenza erronea che i motori non possano sbagliare, a cui si accompagna un falso senso di sicurezza sulle loro prestazioni talmente potente da allontanarci dal mondo Reale degli Scacchi. Sembra come nel 1995, quando il sistema GPS di una crociera con 1.500 persone a bordo si guastò, ma nessuno se ne accorse per 30 ore, nonostante gli indizi visivi che la rotta non fosse quella stabilita. Ma le conseguenze sui nostri processi di comprensione del mondo, anche a livello neurofisiologico, dovrebbero farci comunque riflettere.
Studi scientifici hanno mostrato che ragionieri che usano software di revisione dei conti più complessi sviluppano una comprensione minore dei fattori di rischio rispetto a chi ne usa di più semplici. Lo stesso si ripete per i «sistemi esperti» che aiutano i professionisti nel decision-making: i novizi ne beneficiano nel breve termine, ma si impigriscono col passare del tempo.
Su Internet è lo stesso. La funzione che completa le nostre chiavi di ricerca su Google invece di affinare le domande le ha rese più stupide. Non solo: l'avere sempre qualunque informazione a un clic di distanza «indebolisce la nostra memoria di ciò che accade», dice una serie di esperimenti pubblicata su “Science” nel 2011, perché i motori di ricerca sostituiscono sempre più i nostri processi di codifica e immagazzinamento dei ricordi, finendo per atrofizzare i circuiti neurali che servono per recuperarli e insieme interiorizzarli.
Alcuni passaggi possono esservi sembrati eccessivi, o prematuri. Pensare per esempio che i motori scacchistici possano finire per erodere il vostro desiderio di comprendere il mondo degli Scacchi, o che consultare databases rischi di rubarvi la gioia e la soddisfazione di scoprire novità teoriche può sembrare un atteggiamento luddistico, di sguardo nostalgico verso il passato.
E anche i pericoli per la vostra memoria, con addirittura un incremento della possibilità di sviluppare quella che chiamo "demenza tecnologica", faranno ancora discutere gli amanti dei motori scacchistici.
Credo che occorra tornare a una automazione «antropocentrica». Ed è semplice: basta rimettere il controllo delle funzioni critiche nelle mani del vostro cervello umano a intervalli irregolari (potendo dover intervenire sempre, si resta più vigili); porre dei limiti ai motori scacchistici fin dal design del sistema, lasciando le funzioni più sfidanti e creative all'umano; incorporare nei motori la possibilità di mantenere le sfumature, le incertezze e l'imprecisione delle decisioni umane.
Semplice ma solo se diventa un obiettivo esplicito e condiviso da noi Scacchisti Normali, questo il mio messaggio della bottiglia.
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